Di Pietro confessa: “Ho fatto politica sulla paura delle manette”
Alla luce di questa confessione pubblica di Antonio di Pietro, che può essere definita storica, andrebbero riviste e riscritte le vicende della vita pubblica italiana degli ultimi 20/30 anni, dalla caduta della prima Repubblica ad oggi.
Pensiamo a Gabriele Cagliari, un dirigente industriale suicidatosi in carcere dopo ripetuti interrogatori sul caso Enimont. Carcerato per confessare.
Questa è una affermazione storica, che dimostra che da mani pulite in poi, in Italia la classe dirigente, sotto il giogo della paura, abbia condizionato, svalutandola, la propria offerta politica con effetti devastanti per il Paese. La brava gente si è allontanata dalla politica soprattutto per questo motivo lasciando il posto a spregiudicati “avventurieri e predatori”.
Il giacobinismo esasperato, la voglia di ghigliottina ha portato all’allontanamento della parte sana del Paese dalla politica. I risultati sono il caos e l’anarchia istituzionale con la totale incapacità di dare efficacia all’azione di governo, da una parte, e la conseguente totale sfiducia e disaffezione nella vita pubblica da parte della comunità dei cittadini dall’altro.
Il metodo della prevaricazione, dell’abuso e della paura sono diventati un denominatore comune della gran parte delle azioni per limitare e bloccare gli avversari in tutti i settori della vita politica, economica, amministrativa e sociale dell’Italia.
Le vicende legate alla sospensione dal servizio di alcuni poliziotti eroi perché, dopo la strage di Parigi e i fatti del Bataclan del novembre 2015 ebbero il coraggio di denunciare la carenza di idonei equipaggiamenti e formazione a far fronte la minaccia terroristica, ne sono la riprova. Una repressione illecita delle libertà costituzionalmente garantite a fini politici fu operata con lo strumento del FALSO giustificando i provvedimenti di sospensione con la dicitura: “il dipendente deliberatamente prelevava materiale di vecchio tipo non più in uso alla Polizia di Stato per mostrarla al giornalista”. Peccato che in tutta Italia i giubbetti antiproiettile erano scaduti, in scadenza e comunque inidonei all’arma lunga, i caschi erano marci, le pistole mitragliatrici degli anni settanta e mai sottoposte a manutenzione e nessun operatore era stato addestrato a colpire un bersaglio in movimento. Identicamente a quanto accaduto nella vita politica le persone per bene si sono chiamate fuori e hanno lasciato il posto agli avventurieri con il risultato di alimentare lo sfilacciamento del rapporto fiduciario con la comunità rappresentata dei colleghi.
Quanto confessato da Di Pietro ha dimostrato la messa in discussione di tutte le “certezze” dello Stato di diritto, delle regole, delle garanzie costituzionali. Lo ha patito il Paese e lo abbiamo patito noi del Sap, quando siamo stati oggetto di una repressione illecita, per fini politici, da parte dei vertici del Dipartimento, con lo strumento del falso.
Noi, come tutti gli italiani riusciremo ad ottenere giustizia?
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