Per non dimenticare Emanuele Petri

Per non dimenticare Emanuele Petri

E’ il 2 marzo del 2003, una mattina di domenica come tante. Il servizio di polizia, che segnera’ tragicamente la sorte di Emanuele Petri, il cui sacrificio imprimera’ una...

E’ il 2 marzo del 2003, una mattina di domenica come tante. Il servizio di polizia, che segnera’ tragicamente la sorte di Emanuele Petri, il cui sacrificio imprimera’ una svolta nelle indagini sulle nuove Brigate Rosse, inizia pochi minuti prima delle 8,30 quando con altri due poliziotti della Polfer, Bruno Fortunato e Giovanni Di Fronzo, sale sul diretto Roma-Firenze alla stazione di Terontola, in provincia di Arezzo, per dei controlli di routine. In una delle carrozze viaggiano Nadia Desdemona Lioce , 43 anni e Mario Galesi, 37 anni. I poliziotti ancora non sanno che i due costituiscono il vertice delle nuove Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente. Lioce e Galesi si stanno recando ad Arezzo, per incontrare un militante o fiancheggiatore. I tre agenti, all’oscuro dell’identita’ dei due passeggeri, si avvicinano e chiedono i documenti, che vengono loro prontamente consegnati. I poliziotti contattano via telefono cellulare i colleghi fiorentini, per il controllo dei nominativi, che risultano falsi: al terminale della polizia emerge soltanto che non si tratta di persone segnalate. Lioce e Galesi, pero’, non sanno di aver superato il controllo e, temendo che gli agenti vogliano verificare anche i numeri delle loro carte di identita’ falsificate, durante la telefonata, tra le stazioni di Camucia e Castiglion Fiorentino passano all’azione. Sono attimi drammatici: Galesi estrae la pistola, una Beretta calibro 7,65, e la punta alla gola di Emanuele Petri . Poi, i due terroristi chiedono agli altri agenti di gettare la pistola d’ordinanza: Di Fronzo la lancia sotto il sedile, Fortunato, invece, la tiene. Galesi spara un primo colpo e uccide Petri, mentre Nadia Desdemona Lioce si getta sulla pistola buttata da Di Fronzo e ha con lui una colluttazione.

Intanto Galesi si gira e scarica il caricatore addosso a Fortunato, colpendolo una sola volta e ferendolo al fegato e a un polmone. Cadendo, l’agente della Polfer riesce comunque ad estrarre la sua pistola e a fare fuoco a sua volta, colpendo l’uomo. Galesi cade a terra ferito: morira’ la sera stessa in ospedale. Nel frattempo la Lioce riesce a prendere la pistola di Di Fronzo e tenta di sparare, ma non ci riesce perche’ l’arma e’ in sicura. Alla fine l’agente riesce a bloccarla, ad ammanettarla e a dare l’allarme. Arrivano i soccorsi ma per Emanuele Petri non c’e’ nulla da fare, mentre Fortunato e Galesi sono trasferiti in ospedale. Dopo una serie di controlli incrociati fra Arezzo, Firenze e Roma, i due vengono vengono identificati. Per la Lioce si aprono le porte del carcere e da quel momento, inizia il declino delle Nuove Brigate Rosse, decapitate dall’azione investigativa di carabinieri e polizia. Malgrado l’assoluto silenzio della donna, che fin dall’inizio si dichiara prigioniera politica e si rifiuta di collaborare con le indagini dei magistrati, decriptando alcuni file contenuti in un palmare ritrovato nel bagaglio della brigatista e del suo compagno ucciso, gli inquirenti risalgono ai primi nomi di presunti componenti dell’organizzazione terroristica. All’alba del 24 ottobre del 2003 scatta il blitz della digos della questura di Roma che porta alla cattura dei brigatisti considerati i presunti autori dell’omicidio di Massimo D’Antona. In manette finiscono Paolo Broccatelli, Cinzia Banelli, Roberto Morandi, Laura Proietti, Marco Mezzasalma. Fermato per banda armata anche Alessandro Costa.

Nelle ore successive viene fermata anche Federica Saraceni. Si ricostruisce il forte legame tra i componenti romani e toscani delle nuove br. Ma, tra gli arrestati, la pisana Cinzia Banelli, che secondo gli investigatori e’ la ‘postina’ del volantino di rivendicazione dell’omicidio D’Antona fatto trovare il 30 giugno 1999 a Milano, risulta essere l’anello debole dell’organizzazione. La donna, infatti, e’ incinta e, dopo la nascita del figlioletto inizia a collaborare con la giustizia, permettendo di ricostruire con esattezza anche l’omicidio di Marco Biagi. Le inchieste della magistratura, intanto, vanno avanti e arrivano i primi processi e le prime sentenze. Il 9 giugno del 2004 Nadia Lioce viene condannata all’ergastolo dalla Corte d’Assise d’Arezzo per la sparatoria sul treno Roma-Firenze. Il 6 febbraio del 2005 inizia a Bologna il processo di primo grado per l’omicidio di Marco Biagi. Il primo giugno arriva la sentenza: ergastolo per Nadia Desdemona Lioce , considerata una delle menti delle Nuove Br, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Roberto Boccaccini. L’8 luglio 2005 la Corte d’Assise di Roma, nell’ambito del processo per l’omicidio di Massimo D’Antona, condanna dodici appartenenti alle Brigate Rosse per reati che, a seconda della posizione processuale, vanno dall’omicidio volontario premeditato all’associazione sovversiva, alla banda armata, al furto e alla rapina ed ad altro, quasi tutti gli imputati.

In particolare, Nadia Desdemona Lioce e Roberto Morandi sono condannati all’ergastolo con isolamento diurno per 6 mesi, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale. Condannati inoltre Michele Mazzei, Antonino Fosso, Francesco Donati e Franco Galloni alla pena di 5 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno. Nove anni e 6 mesi invece a Diana Blefari Melazzi. Condannati inoltre Paolo Brocatelli a 9 anni di reclusione, Marco Mezzasalma all’ergastolo con isolamento notturno, 4 anni a Federica Saraceni, 5 anni e 8 mesi a Simone Boccaccini, 5 anni e 6 mesi a Bruno Di Giovannangelo. Assolti Fabio e Maurizio Viscido e Roberto Badel. Il 29 giugno 2005 per la Lioce arriva la condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’Appello di Firenze per la sparatoria sul treno. Il 2 marzo 2006 , infine, con la sentenza della Cassazione, si chiude la pagina iniziale della breve ma sanguinosa storia delle Nuove Brigate Rosse.

La Suprema Corte, confermando il giudizio di primo e secondo grado, condanna definitivamente all’ergastolo la brigatista Nadia Desdemona Lioce per la sparatoria sul treno regionale Roma-Firenze del 2 marzo del 2003 e mette la parola fine a quella tragica vicenda che costo’ la vita al sovrintendente di polizia Emanuele Petri e al brigatista Mario Galesi, oltre al ferimento dell’agente Bruno Fortunato. Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi con l’omicidio del sovrintendente Emanuele Petri hanno ‘leso la credibilita’ pubblica della funzione preventiva e repressiva dello Stato’, scrive la Prima sezione penale della Cassazione nel motivare le ragioni della conferma all’ergastolo nei confronti della Lioce per l’omicidio di Petri. Il 6 giugno 2006 intanto la Corte d’assise d’appello di Roma conferma le condanne all’ergastolo nei confronti di Nadia Desdemona Lioce , Roberto Morandi e Marco Mezzasalma per l’omicidio di Massimo D’Antona, docente di Diritto del lavoro a ‘La Sapienza’ di Roma e consigliere del ministro del Lavoro Antonio Bassolino nel governo D’Alema. E infligge 4 anni e 8 mesi di reclusione a Federica Saraceni, per associazione eversiva e banda armata, 9 anni di reclusione a Paolo Broccatelli, a Bruno Di Giovannangelo 5 anni e 6 mesi per associazione sovversiva, banda armata e rapine.

 

Ergastolo a Nadia Desdemona Lioce, Marco Mezzasalma, Roberto Morandi e Diana Blefari Melazzi e 21 anni a Simone Boccaccini. E’ anche il verdetto che arriva il 6 dicembre 2006 pochi mesi dopo dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna per l’omicidio del professor Marco Biagi. La Corte, presieduta da Aldo Ranieri, parzialmente modifica la sentenza di primo grado dove tutti e 5 gli imputati Br erano stati condannati al carcere a vita. A quattro anni da quella tragica data del 2 marzo 2003, in cui il Sovrintendente capo della Polizia Emanuele Petri perse la vita mentre era in servizio, giustizia e’ stata fatta. Nei mesi successivi alla sparatoria sul treno Roma Arezzo le Brigate Rosse sono state progressivamente decapitate e smantellate.


Il Sap per non dimenticare MAI il sacrificio di questo nostro Eroe!

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