17 Agosto 2006
ROMA (17 agosto) — Muhammad Saleem, il pachistano di 55 anni che ha sgozzato la figlia ventenne, sulla carta era pronto a conquistare la cittadinanza italiana. Regolarizzato con la legge Martelli nell’89, ottiene il primo permesso di soggiorno nel ’90 a Brescia dove, nel ’98, fa richiesta di ricongiungimento familiare per la moglie e sei figli (tre maschi e tre femmine). Nel 2001, riceve la carta di soggiorno. Nel 2003, denuncia all’anagrafe la nascita del settimo figlio e infine, un paio di mesi fa, inoltra in prefettura la domanda per ottenere la cittadinanza. Con una documentazione di questo tipo sarebbe stato difficile, dopo oltre 10 anni di lavoro regolare in Lombardia, negare all’insospettabile Saleem il passaporto della Repubblica italiana.
IL DISEGNO DI LEGGE — E così, ora che il Parlamento si appresta a discutere le nuove regole in parte meno rigide sulla concessione della cittadinanza ai lavoratori stranieri e ai loro figli che nascono in Italia, i partiti di opposizione, maanche quelli di maggioranza, si interrogano se l’asticella posizionata dal governo Prodi sia sufficientemente alta. Il disegno di legge Amato, varato il 6 agosto dal Consiglio dei ministri, dimezza i tempi di attesa (da 10 a 5 anni) ma introduce un test di lingua italiana e un giuramento di fedeltà alla Costituzione rendendo più difficili anche i matrimoni di comodo: il testo, che a partire da settembre dovrebbe essere assegnato alla Camera, non è blindato. E al Viminale lasciano intendere che eventuali emendamenti anche finalizzati ad allungare di uno o due anni il «periodo di prova» per gli immigrati non verrebbero bocciati pregiudizialmente dal governo.
IL DIRITTO DI SCELTA — Si spiega, allora, la prudenza del ministro dell’Interno, Giuliano Amato, che ha voluto fortemente il provvedimento ma che ha dovuto mediare con il collega Paolo Ferrero di Rifondazione favorevole a un «periodo di prova» di soli due anni: «Il caso della ragazza pachistana uccisa dal padre insegna molto ai fini della cittadinanza perché è evidente che non basta chiedere l’adesione ai valori della Costituzione ma serve anche un’adesione ai diritti fondamentali come il fatto che la donna si rispetta secondo regole che io considero universali ». In altre parole, insiste l’ex presidente del Consiglio, «la donna ha il diritto di scegliere la sua vita» anche perché «il matrimonio combinato lo abbiamo abbandonato alcuni secoli fa». Per questo, la correlazione tra l’adesione a questi valori e l’accesso alla cittadinanza «è un problema che dovrà esser affrontato molto bene».
LA SCUOLA — Amato dice questo durante i consueti saluti di Ferragosto alle forze di polizia. E approfondisce il tema quando il pullman che trasporta il ministro, il vice ministro Marco Minniti, il capo della polizia e i comandanti generali dei carabinieri e della Finanza e una mezza dozzina di prefetti fa tappa al campo nomadi di Villa Gordiani, tra la Prenestina e la Casilina. Qui ci sono i Rom, i «senza patria» anche per scelta, che sulla strada della conquista della cittadinanza sono forse all’ultimo posto. «Per affrontare certe situazioni non bastano le leggi ma ci vuole la buona volontà di persone come questo parroco e i volontari di Sant’Egidio…», dice il ministro a don Paolo che con la sua chiesetta di Santa Maria della Misericordia fa da paciere fin che può tra gli zingari e il quartiere di Villa Gordiani. E a proposito degli stranieri che forse diventeranno italiani con le nuove regole, Amato puntualizza: «Non bastano gli interventi della legge sulla cittadinanza. Ci vuole, tra l’altro, una scuola che integri i più giovani… altrimenti si rischia di pestare l’acqua nel mortaio».
LE REAZIONI — La disponibilità del Viminale a considerare il testo sulla cittadinanza non blindato suscita reazioni diverse. Giovanni Russo Spena (Prc) se la prende con la Cdl, e con la Lega in particolare: «Strumentalizzano il dolorosissimo caso di Brescia che non c’entra niente con la cittadinanza ». Nell’Udeur, invece, il capogruppo Mauro Fabris si chiede: «La politica di integrazione, così come è stata concepita dall’Unione, porterà buoni frutti? Non lo so. Il problema è molto serio, dobbiamo affrontarlo anche con quella parte della Cdl che vorrebbe rispedire a casa i lavoratori stranieri». Nella Margherita, Giannicola Sinisi non vede alternative al percorso che porta alla cittadinanza: «È un fattore di conoscenza e di sicurezza. Dobbiamo offrire qualcosa di serio a queste persone: e penso ai 450 mila studenti stranieri che già frequentano le nostre scuole».
Dino Martirano – Corriere della Sera
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