Dopo il commento di Carlo Bonini apparso su Repubblica, in merito alle critiche espresse dal Sap sull’approvazione della legge sul reato di tortura, Gianni Tonelli replica così:
«Chi serve lo Stato non può temere il reato di tortura». Titola così questa mattina, un suo commento su Repubblica, il giornalista Carlo Bonini, la cui direzione di penna e idee, è abbastanza nota.
Caro Bonini, se qui c’è qualcuno con qualche pregiudizio, questo è sicuramente Lei. Noi poliziotti non abbiamo alcun timore con riferimento ai nostri comportamenti, altrimenti non avremmo fortemente richiesto telecamere su divise, auto di servizio e celle di sicurezza. Dunque, cosa avremmo da temere?
Le dirò di più, perché non si impegna a sostenere questa grande operazione di verità, questa innovazione da noi proposta in alternativa agli alfanumerici? È risaputo, gli alfanumerici sono metodi da maniscalchi, così come questo reato di tortura che universalmente è solo un’accozzaglia confusa che non tutela i torturati (nei casi in cui patiscano abusi da chicchessia). Questo perché la sua interpretazione può consentire margini talmente restrittivi, da vanificarne lo scopo. Dall’altra parte invece, è talmente ampia, che il diritto deve darne certezza.
Ecco Bonini, il diritto è certezza e si parla di certezza del diritto perché le regole devono essere chiare se vogliamo raggiungere e realizzare la ratio della norma. Se invece, vogliamo soltanto promuovere dei manifesti ideologici contro funzioni pubbliche, allora possiamo benissimo proseguire su questa strada.
Torno a dirle caro Bonini, che noi non temiamo l’introduzione di un reato, anche perché siamo stati i primi a chiedere una normativa che punisse severamente i comportamenti di tortura e abbiamo insistito per avere le telecamere. Perché non scrive un articolo su questo? Pensi, che anni fa, in molti altri hanno voluto consentire questa mia presentazione: sia perché considerata innovativa, sia perché proposta proprio da appartenenti alle Forze dell’Ordine, che hanno deciso di mettersi in discussione e fare un passo indietro, ed è giusto che sia così.
Le telecamere ahimè, hanno un solo difetto: non perdonano nulla a nessuno. È per questo che non le si vogliono, ma noi le vogliamo!
Perché il partito dell’Antipolizia non le vuole? Perché i mascalzoni e i professionisti del disordine pubblico non le vogliono? Perché continuare a gettare fumo negli occhi alla gente?
Io, meglio di lei, comprendo l’importanza della trasparenza. Deve sapere caro Bonini, che in un paese normale, un tutore dell’ordine o la brava gente, non hanno nulla da temere… ma in Italia c’è molto da temere. C’è da temere e lo vediamo tutti i giorni: ogni anno vengono certificati 1000 errori giudiziari, 30.000 negli ultimi 30 anni.
Quindi, secondo Lei, noi non dovremmo temere procedimenti come quello dell’eroe di Guidonia, quando vi erano un’infinità di fasi processuali che si potevano utilizzare senza indagarlo direttamente, permettendo contestualmente poter fare piena chiarezza su quanto era accaduto?
Certo che abbiamo da temere, ma in questo senso! Ogni giorno veniamo trasformati dai criminali, in imputati in procedimento connesso, per strategia di difesa. I delinquenti lo sanno che l’anello più debole della catena siamo proprio noi, perché il sistema che difendiamo non ci tutela, ma ci avversa. Essere trattati peggio di pedofili o di mafiosi, non è certamente bello.
Lei ha un coraggio nei suoi articoli che Le riconosco, ma pensi se ogni volta che fa un’accusa ad una persona, dovesse trovarsi sotto procedimento per diffamazione. Non deve temere nulla perché poi la giustizia farà il suo corso, ma Lei avrebbe bisogno di una finanziaria per pagarsi i processi e, mi creda, il suo stipendio è sicuramente più alto di quello di un poliziotto.
IL COMMENTO DI CARLO BONINI APPARSO SU REPUBBLICA
Letta 8.711 volte