1° aprile 1981: viene approvata la Legge nr.121 di riforma della Polizia di Stato che entrerà in vigore il 25 aprile dello stesso anno. Smilitarizzazione e sindacalizzazione furono i cardini di quella che, a giusto titolo, viene definita la «Magna Carta» della Polizia di Stato. Di seguito vi riproponiamo l’articolo pubblicato nell’ultimo numero del Sap Flash.
Coraggiosa e lungimirante, ricca di contenuti e di una lucida visione delle forze in campo. Così definiva la Legge n.121 del 1981 il Capo della Polizia Antonio Manganelli nel 2011, durante un convegno in occasione dei trent’anni dall’approvazione del testo. Questo perché la Legge 121 segnò indiscutibilmente uno spartiacque, solcando una linea di demarcazione netta tra ciò che era prima e ciò che sarebbe stato poi. Non è possibile comprendere in pieno la portata di questa rivoluzione se non si contestualizza il periodo storico nel quale la riforma vide gli albori. Siamo negli anni ’70, un periodo di radicalizzazione e di forti contrasti sociali. Per comprendere l’entità dei fatti, nel gennaio del 1978, in occasione dell’ennesima manifestazione culminata in violenti scontri, così titolavano su un noto settimanale Tullio Fazzolari e Pierluigi Ficoneri: È la guerra civile italiana! Bande armate, armi da guerra, agguati con il solo scopo di uccidere. La violenza non è più un incidente, ma un modo per far politica. Di fronte a questa escalation, la situazione della polizia era quella di un corpo militare che arrancava, spesso non al passo coi tempi e che era visto come il simbolo più evidente di uno Stato ritenuto ingiusto, antidemocratico e liberticida. Numerose erano anche le denunce di utilizzazione dei poliziotti da parte dei loro superiori per sbrigare faccende domestiche, svolgere il ruolo di camerieri, autisti privati o guardiani notturni. Nelle caserme le condizioni igieniche erano precarie, cosa che portò in alcuni casi all’insorgere di epidemie. Fu una legge del 1974, fortemente voluta dall’allora Ministro dell’Interno Luigi Gui, a stabilire che gli appartenenti al Corpo non potessero più essere adibiti a mansioni di attendente o famiglio. La norma però rimase per molti anni inapplicata, tant’è che le promozioni continuavano a essere decretate sulla base di valutazioni arbitrarie dei dirigenti, ammorbidite attraverso varie forme di “collaborazione”. Non erano infrequenti, in questi anni, i casi in cui le domande di ammissione in polizia a malapena riuscivano a coprire i posti messi a concorso. Questo profondo senso di insoddisfazione e frustrazione, la consapevolezza di essere ormai stretti nella morsa degli attacchi della piazza da una parte e dalle pressioni politiche dall’altra, portò all’inizio di un processo interno alla polizia teso a ottenere una radicale riforma della stessa. In tutti questi anni e in diverse città si susseguirono manifestazioni di protesta da parte dei poliziotti; le proteste assumevano spesso la forma di sfilate silenziose attorno alle questure, con l’obiettivo di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni di lavoro degli operatori. Gli apparati dirigenziali rispondevano, nella maggior parte dei casi, ordinando trasferimenti o decretando espulsioni dalla polizia; nei casi ritenuti più gravi si procedeva all’arresto dei presunti organizzatori (quelli che i giornali definivano Clandestini della P.S.) con l’accusa di sedizione aggravata. Malgrado i tentativi di repressione, lo spirito riformatore però era stato avviato. L’attenzione si concentrava su due aspetti: la smilitarizzazione e la sindacalizzazione. Sul primo punto, emergeva tutta l’incongruenza che il nostro Paese fosse l’unico nel panorama del Mercato Comune Europeo a non poter disporre di una polizia civile. Sul fatto invece della sindacalizzazione, si puntata ad abolire il Decreto luogotenenziale nr.205 del 24 aprile 1945 che vietava la costituzione di qualsiasi associazione sindacale all’interno della polizia. Il decreto veniva considerato dai riformatori oltre che obsoleto (erano infatti cessate le esigenze del periodo post bellico), anche discriminatorio e anticostituzionale. Una fondamentale apertura da parte delle istituzioni si ebbe nel 1976 grazie alla circolare nr.555/318 del Ministro dell’Interno Francesco Cossiga che autorizzava il personale della Pubblica Sicurezza a riunirsi in comitati per discutere delle problematiche ed esprimere giudizi relativi alla riforma del Corpo. Alla fine dello stesso anno la Camera dei Deputati approvò a larga maggioranza un ordine del giorno con il quale si auspicava un nuovo assetto della sicurezza pubblica, con esplicito riferimento alla riforma della polizia. L’anno successivo iniziarono i lavori in commissione Interni e Riforme Costituzionali; il dibattito, seppur spesso animato, non giunse mai allo scontro politico, segno evidente che la necessità di dare un nuovo assetto strutturale e organizzativo alla polizia era avvertita in maniera trasversale. La Legge n.121 fu portata in aula all’inizio del 1981 e dopo alcune modifiche fu definitivamente approvata il 1° aprile, entrando definitivamente in vigore 25 aprile 1981, data scelta in modo non casuale. Lo spirito della nascente Legge non poteva prescindere da un’organizzazione che valorizzasse i principi della nostra Costituzione repubblicana: diritti e dignità degli operatori furono quindi elementi portanti di questo processo di modernizzazione che riuscì a vincere le resistenze delle forze ostili al cambiamento. La Legge n.121 riconobbe il diritto delle organizzazioni sindacali di essere parte attiva nei processi di contrattualizzazione, sia a livello centrale che periferico. Negli stessi mesi, di pari passo, si concretizzava il progetto della costituzione di un Sindacato Autonomo di Polizia, anche grazie al sostegno economico di alcuni cittadini che raccolsero l’invito alla sottoscrizione economica lanciato sulle pagine de Il Giornale da Indro Montanelli, nella generale convinzione che la politica sindacale delle grandi confederazioni fosse inadatta a salvaguardare a pieno le peculiarità della professione. La Polizia di Stato si affacciava così sul nuovo decennio come istituzione moderna ed efficiente. Il nuovo assetto prevedeva lo scioglimento del Corpo delle Guardie di Sicurezza e del Corpo di Polizia Femminile che ora confluivano nella Polizia di Stato. Venne riconosciuta parità di ruoli, funzioni e di trattamento economico e normativo fra personale maschile e femminile; le donne, quindi, ebbero la possibilità di accesso anche ai ruoli più elevati. Veniva consacrato il diritto di tutti gli appartenenti ad associarsi in sindacati e di poter manifestare, seppur in determinate e vincolanti condizioni, ossia liberi dal servizio e non in divisa. Fu previsto il principio cardine secondo il quale gli appartenenti alla Polizia di Stato non potessero più essere impiegati senza limiti di orario e senza la previsione di compensi di lavoro straordinario; fu fissato in 40 ore l’orario di servizio settimanale, ripartito in turni giornalieri secondo le esigenze programmate ed emergenti. In ultimo, per effetto dell’articolo 67 della Legge di riforma, si stabilì che nessun dipendente potesse più essere distolto dai compiti d’istituto. Uno sguardo a ritroso ci permette di capire quanto, a quarant’anni da questa riforma epocale, alcuni nodi gordiani restino però irrisolti mentre altri aspetti, non certo secondari, non siano stati ancora portati a compimento. In questo costante e progressivo processo di modernizzazione di questa Istituzione, un ruolo centrale e fondamentale resta quello delle organizzazioni sindacali. A parte alcune rare eccezioni, l’affrancatura dalle altre grandi confederazioni del panorama sindacale (CGIL, CISL, UIL), come precedentemente accennato, non si è ancora compiutamente realizzata, elemento che rischia di penalizzare e non dare adeguato sostegno alle istanze degli appartenenti alla Polizia di Stato. Allo stesso modo, l’eccessiva frammentazione della rappresentanza rischia di disperdere in mille rivoli le giuste rivendicazioni negoziali, col pericolo che esse abbiano più difficoltà nel giungere all’effettivo compimento. L’auspicio allora è che questa ricorrenza, scevra da asettiche commemorazioni, rappresenti un’ulteriore occasione per una riflessione generale. Per tutti si tratta, in fin dei conti, di continuare a perseguire l’obiettivo di una rinnovata professionalità, nella tutela delle legittime istanze degli appartenenti alla Polizia di Stato: Istituzione che resta, senza ombra di dubbio, uno dei pilastri più saldi sui quali poggia la nostra democrazia. (Danilo Ilari)
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