Sono passati dei giorni da quello in cui è stata pronunciata la parola “assoluzione” nei confronti dell’assassino dei colleghi Pierluigi Rotta e Matteo Demenego. Abbiamo fatto decantare la rabbia del momento per non cadere nella trappola delle emozioni. Ancora oggi però fanno eco, nei corridoi degli Uffici di Polizia e non solo, le parole del Procuratore di Trieste.
Siamo uomini di legge anche noi, sappiamo bene la differenza tra quello che dice la testa e quello che sente la pancia. Oggi le dinamiche del processo sono queste e questi sono i possibili responsi che esse possono determinare. Il pensiero che continua a permanere nella testa degli uomini e delle donne in uniforme, che ci sono sempre per tutti delle attenuanti, delle scusanti, delle scappatoie, mentre gli unici a non avere mai sconti, quando sbagliano, sono loro. Quando a sbagliare sono le “divise”, esse pagano disciplinarmente, penalmente, mediaticamente e moralmente. Condotte, le loro rilevate al microscopio. Errori che si pagano in famiglia; famiglie a loro volta che assorbono il malessere espresso dall’ennesima impotenza.
In questa tragedia che si è consumata qui a Trieste a pagare sono state le vittime, i loro familiari, i “sopravvissuti a quel giorno” e la città intera che ha sofferto e ancora soffre questa vicenda. Una professione, la nostra, che oggi si regge in piedi grazie a persone che non si limitano a fare le sole ore previste della giornata lavorativa, che colmano quotidianamente le molteplici lacune e mancanze, la prima di tutto quella gravissima di personale. Operatori di Polizia che fanno il loro dovere per qualcosa che è al di sopra di quello che si deve fare e va al di là degli “sproni “e delle “strigliate”. Lo fanno alla ricerca della “Giustizia” non di certo della vendetta, quella non li appartiene. Professionisti che conoscono bene il proprio lavoro e non a caso i risultati conseguiti quotidianamente li collocano tra le forze dell’ordine migliori al mondo. A mente fredda ancora tornano ridondanti più che lecite domande: “ma chi ce lo fa fare” se le “verità processuali” producono poi “richieste” come quella dell’assoluzione di un pluriomicida? Basterebbe quindi forse fare solo quello che è previsto, nulla di più, ma con quali risultati? No, non ci stiamo! Se il processo penale attuale porta a questi risultati è evidente che la “Giustizia” non è percepita come tale da parte di nessuno e l’unica strada che ci rimane da intraprendere è cambiare per migliorare.
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