Come nelle migliore tradizione italiana, il negazionismo trova un’utilità sociale nel trascinare situazioni scomode, anche quando sono molto evidenti.
Da anni si parla di una forte presenza di organizzazioni mafiose nel foggiano, da anni si sente parlare di morti e ritorsioni, di violenze e di un sistema sociale nel quale la brava gente si adegua e soffoca, normalizzando un sistema criminoso fino quasi a sostituirlo allo Stato.
Le strategie delle organizzazioni criminali sembrano avere menti più lucide e brillanti, più risorse, più contezza di un territorio dal quale le istituzioni cominciano a diventare avulse, quasi concettualmente inopportune, pedine nei casi peggiori; un arretramento, quello istituzionale, strutturato da una macchina governativa da troppo tempo “accampata” e incastrata, concentrata sul tenersi stretta per non sgretolarsi e troppo spesso assente fuori, all’esterno, dove una cittadinanza avrebbe bisogno di sostegni e certezze.
Foggia vive il dramma di un paese, amplificato dalle difficoltà territoriali, ma è pur sempre uno degli esempi di come alle grida di chi perde persone care si possa essere sordi, ciechi, muti nel non saper rispondere, abbandonando gli avamposti dove quelle poche unità di uomini delle Forze dell’ordine, rappresentano non più lo Stato, ma una legalità fragile.
Il Sap, per Foggia, sono anni che chiede l’apertura di un Reparto di Prevenzione Crimine; oggi il Ministro Minniti decide di inviare sul posto 192 rinforzi: temporanei, come se la mafia, a Foggia come nell’intero paese sia un fenomeno stagionale.
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